Dora Maar e Picasso: L'amore che porta alla pazzia
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Tra autolesionismo e passione il
ritratto della donna vissuta all’ombra del grande genio.
<<Ci conoscemmo al bar. […] Giocavo con un coltello. Giocavo a piantarlo
nel tavolo di legno fra le dita dell’altra mano. A volte sbagliavo mira, ma
direi di no, miravo giusto e mi tagliavo il guanto. Bianco, il guanto. Il
sangue lo sporcava subito e molto. Picasso sentiva l’odore del sangue da
lontano: lo ha sempre fatto, con le bestie alla corrida, con le donne e con gli
uomini nei luoghi di sventura suprema. Era inebriato, ipnotizzato dal sangue.
Si sedette accanto a me in silenzio, rimase lì fermo per molto tempo. Nel bar
tutti ci guardavano, io no, però: io non ho mai guardato lui, continuavo a
tagliarmi. Sentivo la sua presenza. Mi disse, ad un certo punto: andiamo. Non
era una domanda, era un ordine. Io allora alzai la testa e per la prima volta
incrociai i suoi occhi. I suoi occhi non erano occhi: erano uno specchio
dell’inferno. Gli dissi: dove? Lui mi rispose: in qualunque posto signorina,
purchè non sia fuori di lei.>> Malamore, C. De Gregori
In questo passo tratto dal libro Malamore, di Concita De Gregori, viene descritto, se non il primo, il secondo incontro dei due, avvenuto, così narra la storia, ad uno dei tavolini del Caffè
Flore (una seconda variante cita il Deux-Magots) di Parigi,
mentre Picasso era in compagnia di Paul
Eluard, il famoso poeta surrealista che, sempre secondo la cronaca, li
presentò. Dora Maar aveva 27 anni, fotografa, pittrice e modella alla
soglia del successo, Picasso di anni ne aveva 55, ma era già il Genio cubista che tutti osannavano.
Figlia di un architetto croato Josip Marković e Julie Voisin, Henriette Theodora Marković, Dora
Maar, nacque in Croazia, ma visse e morì in Francia (dopo un periodo in
Argentina grazie al quale imparò lo spagnolo, la lingua di Picasso). La sua
produzione artistica cominciò negli anni 20’, quando sperimentò le tecniche del
collage
e del ready-made di matrice surrealista. La carriera artistica di
Dora Maar, però, sarebbe potuta essere molto di più di quello che fu in realtà
se lei stessa non avesse dedicato e sacrificato la sua vita a Picasso e se non
si fosse smarrita nel labirinto del Minotauro,
come egli stesso amava definirsi. Svuotata e distrutta nello spirito, dopo
Picasso ci sarà solo il vuoto attorno a lei.
Picasso non la dipingerà mai
sorridere, per lui sarà sempre la donna che piange, anche se Dora
Maar, vera figlia del suo tempo, non piangeva mai. Per Picasso rappresentava
l’aridità, la sterilità. Dora non poteva avere figli e per questo egli la
ritraeva che piangeva, i suoi tratti erano spigolosi, sul suo viso verde
distorto gli occhi ripieni di spilli. L’immagine del dolore, il suo, forse
anche quello di Picasso. Dora Maar sapeva che egli si nutriva del dolore che riusciva
a provocare negli altri: “Non sanno quel
che lui era. Solo io lo so. Picasso era uno strumento di morte. Non era un
uomo, era una malattia.”
Dora Maar non fu mai la moglie di
Picasso, non fu mai l’amore limpido vissuto alla luce del sole, ella fu
soltanto colei dalla quale egli sempre tornava, perché con lei solo poteva
sentirsi libero di essere crudele, e di amarla nello stesso tempo. Tornava da
lei per dipingerla pazza e brutta, si aspettava di trovarla stanca, sola e
annebbiata dal dolore che lui le aveva inflitto, ma lei resisteva algida e
nobile, fiera. Anche quando la dipinse sullo stesso divano con una delle tante donne
delle quali si innamorò e dalla quale ebbe una figlia, Maya. Si chiamava Marie-Therese,
era bionda e docile, e Picasso le dipinse insieme, lei e Dora, sul divano di
casa sua, dopo averle amate entrambe. Libertino, infedele, Picasso pensava a se
stesso come un dio, il suo più grande
desiderio era quello di trovare una donna talmente efferata e crudele da ucciderlo
sopravvivendogli, ma nessuna mai fu all’altezza del compito, forse solo Dora
Maar.
Picasso ebbe molte muse
ispiratrici, ognuna di loro entrò come linfa vitale nella produzione artistica
del Maestro, ma nessuna restò con lui per tutta la vita, molte impazzirono, o
invecchiarono nell’abbandono, sole.
Impazzì anche Dora Maar, dopo
essere stata, prima che l’amante e musa ispiratrice di Pablo Picasso, una delle artiste
pioniere più vivaci del suo tempo: sue le famose foto che ritraggono Picasso dipingere la Guernica
(1937). Impazzisce perché Picasso si innamora di una pittrice più giovane, Francoise
Gilot, dalla quale avrà due bambini, e la lascia nel 1945, da quel
momento è per Dora l’inizio della fine e l’inizio di una terribile depressione
che la porterà ad essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico per due anni e
sottoposta ad elettroshock sotto la cura del Professor Jacques Lacan. Passati i
due anni Lacan le disse: “o ti metto una
camicia di forza, o ti metto nelle mani del Signore”. Di fronte a quella
scelta Dora Maar decide di reagire e
risponde: ”dopo Picasso solo Dio”.
Da quel momento Dora si avvicina alla religione cattolica, della quale sapeva
ben poco e che, però, la salva dalla pazzia, e dal suicidio: “Tutti pensavano che mi sarei suicidata dopo che mi aveva lasciata,
persino lui se lo aspettava. Il motivo per cui non l’ho fatto è stato per
privarlo della soddisfazione” dirà dopo poco. “Il mio perdono sarà il tuo castigo” furono le ultime parole che gli
disse.
Oggi, il nome di Dora Maar è
indissolubilmente legato a quello del pittore spagnolo, come se ella fosse
vissuta solo in funzione di Picasso. Nonostante la pazzia, Dora Maar gli sopravvivrà
grazie alla fede cattolica alla quale si affiderà ciecamente, morirà nel 1997,
ventiquattro anni dopo la morte del grande pittore spagnolo. Non ha lasciato
eredi, il suo immenso patrimonio è andato all’asta: oltre centocinquanta tele
insieme ad altre opere, tutto autografate da Picasso, furono trovate nella sua casa
parigina.
Picasso disse di lei: “Sei l'ideale, sei un
grande vantaggio da avere accanto quando uno si innamora.”
Isabella Mazzola