Il Grande Cretto di Gibellina di Alberto Burri, l'arte che si fa materia
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Quando nel Gennaio del 1968 il terremoto di magnitudo 6.1 scosse violentemente la Valle del Belice e gran parte della Sicilia nord-occidentale, del piccolo paese di Gibellina – provincia di Trapani – non restarono che macerie, e le memorie dei superstiti. Il piccolo centro siciliano fu quasi raso al suolo, e tali furono le devastazioni che l’allora sindaco Ludovico Corrao e la sua giunta, decisero di riedificare la Nuova Gibellina una ventina di chilometri più a valle, sul territorio del comune di Salemi, anziché ricostruire la cittadina facendola risorgere dalle macerie antiche. La scelta fu sicuramente una scelta singolare, ma fu anche l’illuminata intuizione del sindaco Corrao che riuscì in pochi anni, a portare sul territorio della Valle del Belice alcuni fra gli artisti e architetti più importanti dell’epoca.
Quando nel Gennaio del 1968 il terremoto di magnitudo 6.1 scosse violentemente la Valle del Belice e gran parte della Sicilia nord-occidentale, del piccolo paese di Gibellina – provincia di Trapani – non restarono che macerie, e le memorie dei superstiti. Il piccolo centro siciliano fu quasi raso al suolo, e tali furono le devastazioni che l’allora sindaco Ludovico Corrao e la sua giunta, decisero di riedificare la Nuova Gibellina una ventina di chilometri più a valle, sul territorio del comune di Salemi, anziché ricostruire la cittadina facendola risorgere dalle macerie antiche. La scelta fu sicuramente una scelta singolare, ma fu anche l’illuminata intuizione del sindaco Corrao che riuscì in pochi anni, a portare sul territorio della Valle del Belice alcuni fra gli artisti e architetti più importanti dell’epoca.
Ed è per questo motivo, che, chi
oggi visita Gibellina Nuova, lo può fare passeggiando per la Piazza del
Municipio di Franco Purini (o il Sistema della piazze di F.Purini e L.
Thermes), passando attraverso la porta d’ingresso “Porta del Belice” di Pietro
Consagra, e ammirando ad esempio la grande sfera di Ludovico Quaroni, o l’"Omaggio
a Tommaso Campanella" di Mimmo Rotella.
Il grande “pezzo d’artista” è
però a Gibellina Vecchia, ed è fra le sue macerie, o meglio, sono proprio le
sue rovine. E allora l’opera che più ha segnato nell’ immaginario collettivo la
storia di Gibellina e della sua ricostruzione, è senz' altro il Grande Cretto di
Alberto Burri.
Umbro di nascita – Città di
Castello, Perugia 1915 - Alberto Burri,
è stato uno dei più grandi artisti del secolo XX. Espone la sua prima personale
nel 1947 presso la Galleria La Margherita di Roma, e già dai primi anni 50 si
avvicina alla corrente dell’Arte Informale, di cui poi diverrà uno dei maggiori
esponenti, grazie all’ utilizzo di materie povere, organiche o sintetiche
(legni, metalli, sacchi di juta, plastica), e al rifiuto totale della forma.
Il rifiuto della forma fu ,infatti,
il leitmotiv della corrente Informale che si sviluppò nella seconda metà degli
anni 50, nel cuore pulsante dell’ Europa, come risposta degli artisti agli
orrori della Seconda Guerra Mondiale e alla conseguente morte dell’arte. Da
quel punto in poi gli artisti avrebbero decretato defunta la rappresentazione
figurativa della realtà, e quindi abbandonato la tradizione accademica della
forma, per adottare un nuovo linguaggio informale, gestuale, spaziale, materico.
Mentre in America l’Informale si
esprime tramite la pittura gestuale e l’Action Painting di Jackson Pollock, in
Europa prende vita la tendenza di un Informale che pone in primo piano la
materia sulla forma, ed è l’Informale Materico di Jean Dubuffet, Antoni Tàpies
e Jean Fautrier. Alberto Burri, dopo una breve parentesi astratta, ne diventa
il più grande promotore creando opere come i Sacchi(1953-1954), i Legni (1956)
o i Ferri del 1957. Ma saranno i Cretti, distese materiche caratterizzate da
tagli radiali che Burri comincerà a creare agli inizi degli anni Settanta, a
rendere l’artista, scomparso nel 1995, immortale. (In Italia: Galleria
Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma, e Museo di Capodimonte, Napoli)
Il Cretto di Gibellina (1984-85) fu
sicuramente una delle sue più grandi opere, nonché una delle opere di arte
contemporanea più estese del mondo con una superficie di 8000 metri quadrati. A
causa dell’interruzione dei lavori nel’89, l’opera è rimasta incompiuta sino
alla realizzazione avvenuta nel 2015, dopo trent’anni dalla sua progettazione. Il
Cretto – che altro non è che un’immensa colata di cemento bianco gettata sulle macerie
della Vecchia Gibellina- ha compattato in blocchi squadrati di 300 x 400 metri e alti
2, gli isolati e quel che rimaneva dell’antica cittadina, pur mantenendo
inalterato l’assetto dei piccoli vicoli e sentieri. Metaforicamente l’opera
avrebbe dovuto rappresentare un sudario, un lenzuolo funebre che avrebbe coperto il paese antico per commemorare le vittime del terremoto del ’68.
Dopo trent’anni dal progetto dell’artista,
Il Grande Cretto è, sì, completato, ma versa in una condizione di degrado senza
paragoni. Le cause del degrado sono molteplici, alle cause intrinseche della
natura del progetto si sono aggiunte l’incuria e la mancanza di interventi
manutentivi, quella che doveva essere una grande distesa di cemento bianco è
adesso una grande macchia grigia. Il cemento Portland gettato sulle rovine di
Gibellina ha creato chiaramente blocchi di materiale estremamente eterogeneo -
mobilio, tessuti, murature - e questo in termini di conservazione ha creato
diversi problemi, portando a rottura la gran parte dei blocchi. Inoltre il
progetto prevedeva l’inserimento, all’interno di questi ultimi, di alcune lamiere
ondulate in superficie che ricreassero l’effetto in sommità, e questo ha fatto
sì che si manifestassero, anche grazie alla cattiva miscelazione del cemento,
comuni effetti di carbonatazione dei ferri che, ossidandosi, appunto, hanno
portato a rottura il materiale; nelle fessure, quindi, è penetrata l’acqua che
ha portato alla formazione di vegetazione infestante e patina biologica in
copertura. I blocchi inoltre, non avendo strutture di fondazioni sono soggetti
a scivolamento, e stanno lentamente declinando lungo il pendio.
Il Grande Cretto di Gibellina per
alcuni è destinato a scomparire, così come si pensa fosse scritto nella volontà
dell’artista, volontà testimoniata dall’ utilizzo di alcuni materiali facilmente
degradabili come il cemento armato, e dalla volontà dell'artista di non intervenire, nonostante la manifestazione dei problemi dell'opera già durante i primi anni della sua realizzazione, aspirando forse ad una decadenza voluta.
Il restauro dell’imponente opera
d’arte del Maestro dell’Informale italiano non è stato ancora avviato completamente a causa delle visioni contrastanti della critica moderna sull'argomento, ma sono state fatte indagine diagnostiche, sostituito il calcestruzzo
deteriorato ed i ferri esposti ossidati, estirpate erbacce e puliti i
blocchi con particolari tecniche di pulitura con biocida e criogenica, ma manca
ancora tanto.
Il dibattito è ancora fortemente
acceso, e mentre il mondo accademico si schiera favorevole o contrario al
restauro del Grande Cretto, i blocchi di Gibellina, bianchi cemento, scivolano
via, e con loro la memoria di ciò che è accaduto.
Isabella Mazzola
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Il Grande Cretto di Gibellina prima del completamento e della pulitura, Gibellina, Trapani, 1984-2015 |